Dire parolacce è reato?

Possiamo distinguere due tipi di parolacce: quelle rivolte a una persona (ad esempio, «Sei uno stronzo…») e le imprecazioni, ossia le parolacce non rivolte a nessuno se non magari al destino (ad esempio «Porca putt….; che ca….!»). 

Nel primo caso, quando cioè la parolaccia è rivolta all’indirizzo di un altro soggetto presente in quel momento, si ricade il più delle volte nell’ingiuria: si tratta di un illecito che, un tempo punito come reato, oggi costituisce un semplice illecito civile. Sicché, la vittima dovrebbe fare una causa, anticipando le spese, per richiedere il risarcimento. Risarcimento tutt’altro che scontato perché subordinato alla prova di un danno concreto. E questo danno, specie quando la frase non ha ripercussioni e conseguenze sociali, è difficilmente dimostrabile. Il rischio quindi è di fare un buco nell’acqua e di buttare soldi inutilmente in spese legali.

Ad ogni buon conto, ecco alcune parole che, a detta della giurisprudenza – e per ciascuna di esse è stata emessa una sentenza – rientrano nell’ingiuria:

  • sei uno scostumato di mer…;
  • mi hai cacato il ca….;
  • testa di ca….;
  • stronza;
  • femmina senza palle.

A ben vedere, non c’è bisogno di dire una parolaccia a una persona per ingiuriarla. Si può ricadere ugualmente nell’illecito se si pronunciano espressioni offensive come «raccomandato», «zappatore», «leccapiedi», «mantenuta» e così via. Finanche il semplice dito medio alzato è un’ingiuria. 

Invece, non sono stati considerati ingiuria i classici insulti come «cretino», «idiota», «stupido», «ignorante». La Cassazione ha sdoganato anche il classico «vaffa», parola ormai ritenuta di uso comune. E lo stesso dicasi per la parola «coglione» se il significato ad essa dato è quello di «sprovveduto», «ingenuo».

Sei un «rompipalle» non è ingiuria, a detta dei giudici.  

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